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Notiziario Centrale Dicembre 1937 Speciale



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VITA SEZIONALE


   LUIGI CARPANO MAGLIOLI


La Giovane Montagna lancia a scorcio d'anno queste pagine nel nome del suo compianto Socio Luigi Carpano Maglioli. Su, sui monti, nell'alto vallane del Piantonetto ha costruito e ancorato il bivacco fisso che gli alpinisti di oggi e (di domani frequenteranno ricordando Lui, il giovane ardimentoso, innamorato della montagna, anelante alla purezza degli orizzonti cristallini, solidamente fondato sulle realtà supreme della vita: fede in Dio Creatore, fede negli altissimi destini dell'anima nostra.
Per questo Lo ricordiamo ancora qui, in un piccolo fascicolo di pagine vergate dalle nostre penne, dopo aver salito, come Lui, nella solitudine delle altezze.
Presentare queste pagine?: superfluo.
Sono l'espressione spontanea di un sentimento condiviso da tutti; vogliono testimoniare un affetto che non illanguidisce, mirano a destare propositi di serietà, di perseveranza, di vita, che spiegarli è inutile: si sentono e si attuano.
Gino Carpano è passato nella Giovane Montagna nella pienezza dei suoi entusiasmi e nella limpidezza dei suoi lineamenti spirituali. E con questi è rimasto nel cuore e nella mente di tutti i compagni. Era ben giusto che questi si unissero a renderne perenne la memoria nella pietra e nella parola: l'una cosa senz'altra è ricordo monco, o facilmente arido o facilmente vuoto: associate si integrano. La piccola casa ospiterà corpi affaticati in attesa di rinfrancarsi per riprendere a salire, sicura difesa nella tormenta, raccolta dimora pei sogni della pacifica ma non facile conquista. Riposo, sosta, sogni che Gino Carpano amava, prediligeva su quelli che una agiatezza cittadina poteva offrirgli con una certa larghezza e tranquillità. Riposo, sosta e sogni che gli occorrevano per soddisfare la sua sete di elevazione continua. La parola potrà essere richiamo, preparazione, guida a quelle vie che Egli ha luminosamente percorse.
Questo il modesto tributo nostro.
Lo spirito di Gino Carpano, immortale, nella beatitudine della vera Patria invocata dai nostri voti di fratelli in Cristo, Lo voglia accogliere. La « Giovane Montagna » vuole in esso richiamare ancora una volta la purezza dei suoi ideali, la nobiltà delle sue mete.
Si levano al ricordo i nomi di Nino Loretz, di Cino Norat, Dino e Jean Charrey, di Carlo Bianchetti, di Vittorio Sigismondi: serto di anime generose che dalla montagna sono salite a Dio, mentre la famiglia alpina, che si allietava della loro forza e si edificava della loro virtù ne vuole perpetuata la memoria in benedizione sul suo avvenire.
Gino Carpano Maglioli: nei nostri cuori di camerati dell'Alpe, nel nostro ricordo cristiano: Presente!
Natale del 1937.
NATALE REVIGLIO

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   IL NOSTRO RICORDO


Il bivacco fisso in memoria di Gino, sorge in una zona che ha conosciuto le sue prime battaglie alpine e i suoi primi sacrifici. L'alpe gli aveva offerto allora un'ospitalità rozza e primitiva: una capanna disadorna ed un giaciglio composto di quattro assi ricoperti di erba, ma gli aveva subito aperto il suo cuore e dischiuse le sue bellezze. Gino, nonostante il temperamento riflessivo e poco facile agli entusiasmi, doveva ritornare dopo la settimana trascorsa nel vallone di Piantonetto con una passione nuova e grande nell'animo, quella per l'alpinismo. Le arrampicate della cresta di Money, della Roccia Viva, e dei Becchi della Tribolazione, la lotta contro le avversità, le visioni di pura bellezza dovevano conquistare il suo carattere forte e gentile. Lontani giorni ormai quelli passati lassù insieme con lui a rimirare l'aperto volto del cielo, a cogliere le note dell'acqua fluente, ad osservare la lucente corsa d'una nuvola veleggiante! Aver conosciuto il caro Scomparso vuol dire averlo amato, vuol dire volerne perpetuare in qualche modo la memoria. La sua figura non sfiorò soltanto il nostro cuore, ma vi si è scolpita come nel puro marmo. Chi può dimenticare la sua bella intelligenza, la sua arguzia, il suo carattere semplice che gli faceva nascondere, quasi per un senso di pudore, i suoi sentimenti più buoni e più belli? Il suo ricordo traboccando dal nostro cuore si è esternato in un segno tangibile, in una dimostrazione d'affetto patente. La montagna che vide il suo sacrificio accoglie degnamente questo ricordo e ne è la sacra custode.
FRANCESCO MASERA

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   IL PIANTONETTO


Fra i numerosi valloni che solcano il versante meridionale del gruppo del Gran Paradiso, uno dei più importanti ma anche dei meno battuti è senza dubbio quello del Piantonetto: lungo, stretto, profondamente incassato fra alte rupi a picco modellate da antica erosione glaciale, esso dalla sua confluenza con la valle principale dell'Orco tra Locana e Noasca a m. 700 circa sul livello del mare sale con quattro erti gradini intercalati da lunghi ripiani fino ad un selvaggio circo terminale ad una quota che si aggira intorno ai 2800 m. dominato da vette di ragguardevole altezza e da frastagliatissime creste.
La sua solitaria bellezza non era sfuggita alla piccola, entusiasta schiera di alpinisti del secolo scorso í quali, esploratene le vette principali e una gran parte erano italiani dai nomi ben noti e a noi cari di Baretti, Vaccarone, Martelli ed altri molti già mezzo secolo fa?, facevano costruire auspice la sezione di Torino del CAI un rifugio che situato assai in alto permetteva di raggiungere rapidamente le vette circostanti.
Da allora e per molti anni, non una grande frequenza ma una certa notorietà attirava, specie in principio o in fine di stagione poiché l'esposizione generale sud è favorevole ad un anticipo o ad un prolungamento della stagione rispetto ad altre vallate piccole schiere di alpinisti a misurarsi con quelle rocce salde dall'ardito profilo. Ma l'accesso al rifugio era indubbiamente lungo circa sette ore di marcia e nel frattempo altre vallate alpine facevano progressi notevoli in fatto di viabilità, e mezzi di trasporto sempre più rapidi e comodi avvicinavano notevolmente le loro montagne alle città del piano, così ché quando, or sono meno di vent'anni, una valanga si abbatté sul rifugio distruggendo ogni cosa e rovesciando tavole e travi al piano delle Muande, cinquecento metri più in basso, la corrente alpinistica era già in gran parte rivolta ad altre mete e, dopo alcuni platonici accenni di ricostruzione, non se ne parlò più e tavole e travi alimentarono di prezioso combustibile i focolari dei pastori.
Quei pochi che avevano ancora il coraggio di avventurarsi lassù e il loro numero esiguo è sempre andato decrescendo dovevano contentarsi di un giaciglio di fieno, quando c'era, rallegrato dallo scampanio della mandria nella stalla sottostante e spesso di un semplice e duro impiantito in una grangia disabitata, a meno che non preferissero la decantata, ma generalmente assai fredda, poesia di una notte passata su un bel lastrone, sotto una volta di stelle, vigilati dai monti incombenti come nere sfingi rocciose.
Ma quest'anno, per opera della Giovane Montagna che fra quelle balze silenziose ed austere ha voluto ricordare un suo Consocio caduto sull'alpe, le cose sono nuovamente cambiate: non lontano dal luogo dell'antico rifugio, e parecchie decine di metri più in alto è sorto il bivacco fisso « G. Carpano ».
La notizia non può essere accolta che con grande soddisfazione da quanti, a prezzo dei disagi cui sopra ho accennato, hanno una pur modesta conoscenza della regione, ma forse per molti non sarà del tutto inutile il passare in rassegna, con rapido elenco, quali siano le possibilità che con questa nuova base si aprono all'alpinista, e le combinazioni più consigliabili di itinerari che si possono fare in collegamento con altri rifugi o bivacchi fissi della regione.
Polche l'accesso dal fondovalle è indubbiamente molto lungo e quindi noioso in proporzione, ricorderò che parecchie altre vie vi possono addurre con percorsi facili ed assai più piacevoli.
Eccone le principali: 1°) Da Ceresole Reale traversando il Colle Sià, la Bocchetta del Ges e il Colle della Losa (od anche, invece di quest'ultimo, il Colle dei Becchi, valicando poi, a livello, la costola che dal Becco Meridionale della Tribolazione va alla Punta Carnere). Questa via che si svolge in buona parte su ottime strade di caccia, è naturalmente consigliabile soprattutto a chi si trovi già a Ceresole; richiede poco più tempo di quanto ne occorre a risalire tutto il vallone di Piantonetto ed è più pittoresca e un po' meno faticosa.
2°) Dal rifugio Vittorio Emanuele II in Valsavaranche con meno di cinque ore di comodo e simpatico percorso ad alta quota, attraverso i Colli del Gran Paradiso e della Losa.
3°) Dal bivacco A. Martinotti in Valnontey (Cogne) per il Colle Gran Crou, la Bocchetta di Gay e il Colle della Losa in ore 5-6 circa; oppure più direttamente per il Colle di Money ore 5 circa con itinerari che si svolgono in bellissimo ambiente glaciale e richiedono qualche pratica di alta montagna.
4°) Dal bivacco G. Antoldi in Valeille (Cogne) attraverso il Colle Teleccio, con facile percorso glaciale che però richiede l'uso della corda - ore 4,30-5.
5°) Da Forzo per il ghiacciaio, il Colle e la Bocchetta di Ciardoney ed un'ultima risalita nel vallone di Piantonetto di circa un'ora. Da 9 a 10 ore.
Passando ora alle vette, un semplice sguardo alla carta topografica mostra come non meno di una quindicina, tra i 3300 e i 3700 m. di altezza, siano quelle direttamente accessibili dal nuovo bivacco, inutile dunque farne un elenco, ma ne citerò alcune che considero le più interessanti.
Chi sia nuovo alla zona dovrebbe senz'altro volgere i suoi passi al Gran S. Pietro, l'austera piramide che domina maestosa dai suoi 3692 m. di altezza tutti i monti circostanti: potrà scegliere il suo itinerario fra la bella e non difficile parete sud con i suoi 500 metri di ottima e ripida roccia, la frastagliata cresta SO e se ama realmente la difficoltà l'ardua gradinata della cresta ESE.
Viene subito dopo la massiccia e imponente Roccia Viva seguita quasi a pari merito dalla Becca di Gay, tutte e due sono da questo lato piuttosto facili e si potrebbero sebbene ciò non risulti ancora fatto riunire in un'unica traversata per cresta con una giornata alquanto laboriosa ma assai interessante. La Roccia Viva poi va ricordata, e merita una visita anche per la particolarità unica forse sulle Alpi di un curiosissimo laghetto proprio su la cima, di dimensioni un po' variabili credo, ma che un anno fa misurava circa 30 m. in lunghezza per 12 in larghezza. Né dimenticheremo la Testa di Money, lunga cresta rocciosa e frastagliata che riunisce in sé la via più facile il versante SO, salibile in due orette dal bivacco e la cresta più bella dell'intero circo la cresta di Money dai fantastici pinnacoli a cui pare non sia seconda la cresta S percorsa una sola volta diciassette anni fa e certamente di grande interesse, ma di cui Francesco Ravelli con la sua nota modestia, validamente appoggiata da una buona dose di... pigrizia letteraria, non ha mai voluto dare notizia ai lettori di periodici alpinistici. Ma chi ama le belle arrampicate, dando un'occhiata dalla porta del bivacco, sentirà certo prepotente il bisogno di porre le mani su la roccia solidissima e compatta di quella ardita piramide che si innalza di getto a SO e vicinissima: il Becco Meridionale della Tribolazione, che di qui si può salire con simpaticissima, elegante arrampicata, il cui piacere può essere notevolmente prolungato col dare ancora una capatina ai suoi satelliti: Becco Centrale, Punta Pergameni e Becco Settentrionale della Tribolazione.
Per ultimo accennerò al M. Nero, curiosa e caratteristica guglia che si eleva ad O e tanto incombe sul bivacco che per osservarla bene ci si farebbe venire il torcicollo: pure di tutto il Piantonetto è una delle vette più abbandonate, basti dire che a cinquant'anni dalla sua prima conquista, il numero delle sue ascensioni non supera forse quello delle dita di una mano. Di quota rispettabile m. 3422 ?, di forme originali ed ardite, con una lunga cresta meridionale che, a ripidi scaglioni di ottimo e bitorzoluto gneiss del Gran Paradiso, supera quattrocento metri di dislivello e il cui attacco non dista tre quarti d'ora dal nuovo bivacco, da nessun lato di facile accesso, merita certo di esser tratta dall'oblio e di venir salita con frequenza per il piacere dell'arrampicata.
Se questo elenco di vette del resto incompleto non bastasse potrei ancora ricordare quella lunghissima e fantastica cavalcata di cresta, alternante gendarmi e cuspidi e profondi intagli rocciosi ad eleganti festoni di neve, che dal Colle di Money attraverso la Testa dello stesso nome, il Becco della Pazienza e i Gemelli raggiunge la Roccia Viva. Il percorso venne effettuato integralmente quest'anno per la prima volta da tre valorosi soci della Giovane Montagna i quali partiti dal bivacco fisso Martinotti non poterono farvi ritorno in giornata perché sorpresi dalla notte mentre discendevano dalla Roccia Viva. Credo però che cordate ben allenate e veloci potranno presto provare che, partendo dal bivacco Carpano, l'impresa è fattibile tra un'alba e un tramonto.
E con questo mi pare di aver terminato l'enumerazione dei pregi alpinistici del nuovo bivacco, ma a guisa di conclusione voglio far notare come esso faciliti anche non sembri un paradosso le salite dal versante di Valnontey alle vette comprese tra i Colli di Gran Crou e di Money: come è noto infatti, tutte le vie che a quelle conducono da tale versante, di indubbio valore alpinistico, sono lunghe e non sempre simpatiche da rifarsi in discesa, specie se l'ora è tarda o il tempo minaccioso. D'ora in poi l'alpinista sa che giunto in vetta, una facile e rapida discesa può portarlo ad un ospitale riparo, dal quale il giorno seguente potrà partire riposato e restituirsi a Cogne magari compiendo per via la bellissima traversata degli Apostoli.
EMANUELE ANDREIS

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   UNA GRANDE GIORNATA


Dal Colle di Money alla Roccia Viva.
All'ora fissata, sono le 3,- nessuno si fa attendere e calzati i ramponi e legatici abbandoniamo il bivacco Martinotti scendendo ancora assonnati il ripido pendio di roccie che porta al ghiacciaio di Money. Peppino, come al solito, guida la cordata che si destreggia fra i crepacci del tormentato mare di ghiaccio. Notte di stelle in cielo. L'animo non eccessivamente preoccupato per ora dalle difficoltà è tranquillo. Nella notte fonda il lumicino della nostra lanterna interrompe per brevissimo tratto le tenebre. Ci guardano dall'alto silenziose le stelle; alcune le conosciamo, altre no, sono però tutte le solitarie e silenziose amiche dei nostri notturni vagabondaggi. Assorti in assonnati pensieri, interrotti di tanto in tanto dall'inasprirsi del pendio, giungiamo sul ripiano superiore. La cresta di Money, meta prima del giorno, ci incombe aspra con i suoi appicchi, i torrioni, le esili creste protendentesi in un cielo che va facendosi violaceo per l'alba. E più si cammina più ne compaiono, finché con un'ultima breve salita, siamo al colle Money.
Pace solenne sulle montagne. Solo il vento che si rompe sulle roccie e sul ghiaccio turba questa calma secolare. Iniziamo, muti, la salita; presto però; che il gelido soffio rattrappisce le dita che si afferrano inerti agli appigli dei primi facili torrioni. Un salto liscio ci separa dall'intaglio onde s'erge, ardito, lo spigolo del torrione quota 3524. Un anello di corda appeso ad un masso ci indica la via migliore di discesa che noi subito seguiamo; recuperiamo l'anello e proseguiamo su per lo spigolo del torrione. il sole si è levato a tingere « di color di fiamma viva » la fantastica cresta che, toccata dalla calda carezza, lancia contro il cielo bagliori rossastri. Proseguiamo, versante Piantonetto, l'area cavalcata. Oh la gioia di scattare di appiglio in appiglio, di sentirsi sicuri sugli aerei ballatoi, sulle esili cenge caratteristiche di quest'ottima roccia, di godere questi brevi istanti di compiuta, perfetta armonia tra la volontà e l'azione, lo spirito ed il corpo. Alle ore 9 siamo sulla punta Fiorenza. Segue una bella discesa sull'intaglio successivo da cui fa brutta impressione la traversata che ci attende per girare un enorme torrione, sulle esili fessure del versante da Piantonetto. Peppino parte, si destreggia assai bene sulle striature della placca, ed è in breve al sicuro. Infilando il becco della piccozza in una fessura meno maligna può assicurare il secondo. Lo seguiamo a turno, egli a sua volta riparte, attraversa con delicata manovra una crestina e vi sparisce dietro. E' la mia volta; l'aspetto delle placche sfuggenti a precipizio sul Piantonetto non è dei più invitanti.
Inizio con calma e supero agevolmente il passo, raggiungo Pio che subito riparte e sparisce. Sono solo; dalla valle, lontano, salgono al mio orecchio calmi rintocchi di mandrie al pascolo. La lieve e smorzata armonia dei lontani campani ha il potere di richiamare alla realtà circostante le facoltà mentali impegnate fin'ora nella lotta contro la roccia e sull'anima scende un'ondata di pace e di dolcezza. Ora devo però proseguire. il passaggio della cresta non è troppo comodo, e quando metto il naso dall'altra parte, vedo i miei compagni appiccicati quasi alla base di un profondo, altissimo camino che riporta, con verticalità assoluta, in cresta.
Di qui erano passati i primi salitori, e di qui Peppino inizia l'arrampicata bellissima ma in qualche punto assai faticosa, che ci porta sulla vetta del torrione. Alcune pietre smosse dai nostri piedi si sprofondano rombando nel tetro canalone. Siamo in vetta, di nuovo risplende il sole, quasi ci eravamo dimenticati della sua presenza e coll'animo lieto saliamo all'intaglio del secondo torrione che enorme, rossastro preclude ogni via di salita diretta. Iniziamo così la seconda grande traversata, questa volta sul versante di Cogne. La parete esposta a settentrione è formata di enormi massi in bilico sul ghiacciaio di Money, ricopre il tutto un leggero strato di neve fresca. Delicatamente, in silenzio, quasi per non svegliare la rovina che ci incombe sul capo, iniziamo la traversata e ritorniamo dopo numerose lunghezza di corda sulla cresta che di nuovo abbandoniamo per girare l'ultimo ostacolo che ci separa dalla vetta: il campanile di Money. Quando di nuovo tocchiamo la cresta facili roccie aprono la via all'estrema vetta della Testa di Money che raggiungiamo in un trionfo di luce. Finalmente! Sono le 13, ci portiamo sul versante di Piantonetto e ci abbandoniamo inerti ai raggi benefici del sole. Uno stato di profonda, perfetta beatitudine starebbe per invadere l'animo nostro, ma... nessuno parla e i nostri occhi sono rivolti con ostinazione ad un punto della cresta che ancora dobbiamo percorrere. Due muraglie verticali piombano da grande altezza su di un intaglio cui adduce dal basso un breve canalino di ghiaccio, è l'intaglio caratteristico della cresta Barale.
La lunga sosta al sole ci dà però la forza e la fiducia necessarie quando lasciamo le amiche roccie della Testa di Money. Costeggiamo, dapprima, in basso i vari gendarmi della Barale e giungiamo, per roccie instabili, nel canalino di ghiaccio che adduce all'intaglio. Con breve salita diretta lo raggiungiamo. L'aspetto delle due pareti circostanti ci opprime. Cautamente ci sporgiamo fuori dell'intaglio ed osserviamo che sul versante di Valnontey le roccie, pur perdendo pochissimo in verticalità, sono alquanto più rotte, alcune sospese addirittura sul vuoto, trattenute alla parete da un sottile strato di ghiaccio. Ci decidiamo, senz'altro, per questa via che è la più evidente ed avanziamo colla maggior prudenza possibile. La cordata si riunisce e si separa parecchie volte, finché un allegro richiamo di Peppino ci avverte che siamo a posto. E' vero infatti, e con un gran sospirone mettiamo piede sulla cresta, certi ormai che la strada alla Roccia Viva è senz'altro aperta. In breve per la facile cresta di neve siamo sul Becco della Pazienza. S'avvicina la sera. Grandi cumuli di nubi circondano il gruppo del Gran Paradiso che lascia vedere tra gli squarci candidissimi della nuvolaglia le pareti ed i canaloni della sua faccia orientale, mirabilmente corazzata di ghiaccio. Più innanzi e a sinistra si staglia netta sul fondo delle nubi la maestosa cupola di ghiaccio della Roccia Viva poi, più innanzi ancora, le acute cuspidi dei Gemelli di Valnontey e la sinuosa cresta di neve, che partendo dalla base di questi si perde nelle prime roccie del Becco della Pazienza.
Ritti sulla vetta noi ci siamo fermati ad ammirare estatici tanta armonica bellezza che chi possiede una macchina fotografica cerca di fissare coll'obbiettivo nella speranza che sul sottile velo sensibile, oltre l'impronta materiale della cosa vi rimanga pure quel senso di purezza, di serenità, di 'gioia che pervadeva allora l'animo nostro .ed improntava di sé tutta la natura. Il tempo urge: percorriamo senza difficoltà la bella cresta di neve che ci porta alla base del primo Gemello. Bella ed aerea arrampicata su ottima roccia in qualche tratto un po' scarsa di appigli poi la discesa con una lunga corda doppia sul vuoto; saranno più di quindici metri. Percorriamo breve tratto di cresta e siamo al Gemello ovest. Lo scavalchiamo senza eccessive difficoltà giungendo alla base della parete est della Roccia Viva che si eleva erta sopra di noi. Caldi raggi di sole morente ci investono ancora mentre stiamo apprestandoci all'ultima fatica della giornata. Il breve sdrucciolo nevoso non ci richiede più di un quarto d'ora e siamo trionfanti in vetta alla Roccia Viva. Sono le 19. Non possiamo fare a meno di fermarci un istante sulla bella vetta, malgrado spiri una fredda brezza che irrigidisce nel gelo le cristalline acque del laghetto dove si specchia, in una rosea luce di tramonto, l'irta piramide dell'Herbetet.
Ma continuare bisogna, anche se, ora che la meta è raggiunta, comincia a farsi sentire la stanchezza con un intontimento generale che fra poco si convertirà in un solo, umile, ma imperioso bisogno, irrealizzabile per almeno dodici ore: dormire, dormire, dormire. Costeggiamo la pianeggiante cresta e scendiamo l'enorme gendarme fessurato cercando invano, sono ormai le 20,30, un luogo per il bivacco. Lo troviamo infine, ma più scomodo e brutto non avrebbe potuto essere, e tale da non offrire nemmeno la possibilità di allungarci. Il sole si è nascosto ormai dietro all'Herbetet e la notte sale con fluttuanti ondeggiamenti dalla valle, confonde in basso i contorni dei monti circostanti, poi a poco a poco muove all'assalto delle cime più alte e, le chiude finalmente in una morbida stretta. E' notte. Nel cielo è comparsa una stella, poi un'altra, un'altra ancora, ed in breve è tutto un fiammeggiare di occhi veglianti sulla calma solenne della natura. Di tanto in tanto un seracco si stacca dal margine superiore della Tribolazione e si inabissa rombando nella valle, -poi il silenzio. Il tempo, colle sue ali di seta, scorre lento, silenzioso. Ma che conta qui il tempo, cos'è l'ora che passa mentre pare che l'eternità ci guardi dalla pallida luce delle stelle che ora è giunta giù giù ad illuminare con luce irreale, la cerchia dei monti vicini?
Nulla conta qui il tempo e mille e duemila e diecimila anni fa tutto, forse, era immutato, come in questa notte di stelle. Ma neppure l'uomo è mutato: lascia la città dove tutta la vita si svolge secondo un ritmo eguale, esasperante, lascia gli agi con in bocca forse l'amaro sapore della disillusione e parte per i monti, cantando.
Ma perché, ci si chiede, egli parte con gioia verso la fatica, verso il pericolo, il gelo e, talvolta, è pur vero, verso la morte? Tutto tace a questa domanda nel silenzio profondo della notte di stelle. Si ode soltanto, lontano lontano, il croscio del torrente, e vicino, il sibilo del vento contro la roccia. Ma ecco, dalle profondità azzurrine del torrente, dai larici che fanno corona al secolare andare delle acque, dai rossastri intagli del granito, lanciati a sfida del cielo sul crinale delle alte creste, dagli aspri pendii di ghiaccio, dalle esili creste che il vento modella come candidi serici veli sospesi sopra esanimi abissi, ecco sorgere un lieve sussurro ed il sussurro diventare canto e il canto è risposta alla domanda del nostro perenne vagabondare. Canta la natura dell'epica rievocazione, canta di un uomo avido di luce, di bellezza, di poesia, di amore per le cose create, divorato dalla sete dell'ignoto. Essa lo vide accostare la bocca arsa al limpido tremolio delle acque dei ruscelli, sostare alla verde ombra dei larici, inerpicarsi in epiche lotte sui rossastri baluardi delle creste, percorrere gli aerei festoni di neve, ora nella luce vivida dell'alba, ora nei rosei bagliori del tramonto, sotto i raggi del sole o al lume amico delle stelle, lo vide temprare il corpo ai voli superbi dello spirito. Onesto non è solo l'alpinista 1937, colle pedule ed i ramponi, ma l'uomo dai primordi dell'essere fino ai margini della storia che ci tramandò cinta di un aureo velo la leggenda di Odisseo che vecchio, coi vecchi compagni sciolse la nera nave dai lidi dell'Ellade serena e innamorato del suo mare spinto dal perenne inesausto desiderio di « seguir virtuide e conoscenza », salpò verso il pauroso ignoto,. Vecchi erano e il corpo che giovane aveva assecondato l'ardente desiderio dell'anima, ora non poteva più seguire il volo dello spirito. Essi lo lasciarono allora, come cosa inutile per via e proseguirono leggeri il cammino verso la meta, verso la luce.
Fa freddo però. Le nubi che a poco a poco avevano circondato il nostro aereo giaciglio ed avevan portato sulle nostre stanche membra, attutendo il gelido vento, un po' di sonno, ora, incalzate da una aspra tramontana stanno fuggendo e colla loro fuga ci ridonano la vista delle cristalline cime dei monti.
E la notte lenta passerà sempre così in una alternativa di schiarite e di rannuvolamenti e noi, quando un primo bagliore di luce avrà dato al paesaggio il suo giusto contorno, ci rizziamo intirizziti in piedi, abbandoniamo senza rimpianti lo scomodo giaciglio ed iniziamo la discesa dello sperone che ci porta in breve sul ghiacciaio e, rapidamente divallando, al Martinotti.
SANDRO DELMASTRO

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   IDEA E REALIZZAZIONE


Vere balme da camosci, lontane da ogni comodità, fatte per chi nella montagna cerca la montagna e non il pretesto per la scampagnata, i bivacchi fissi non si prestano ad attirare quei festaioli che giunti al rifugio si insediano da padroni preoccupati solo di fare baccano e di svuotare bottiglie e che, mal disposti a considerare anche le ragioni ideali per cui il rifugio è sorto, se questo è dedicato a qualche giovinezza che la montagna ha rapito, sembrano quasi, con la loro indifferenza rumorosa profanarne la memoria; sono invece frequentati da piccolissime comitive di veri alpinisti che sanno comprendere l'animo dei nostri caduti, perché animati dai loro stessi sentimenti.
Chi ha provato a rifugiarsi in un bivacco fisso dopo una lunga marcia di approccio o di ritorno da una affaticante ed impegnativa escursione, mentre fuori imperversa il cattivo tempo, sa benissimo quanto diverse siano le impressioni che si provano in questo piccolo riparo, anziché in un grande rifugio. Il grande rifugio ci fa quasi dimenticare le intemperie esterne; qui il riparo esiste, ma l'urlo del vento e lo scroscio della tormenta sullo zinco della copertura, sono così vicini e sempre presenti alla nostra mente che ci ricordano i veri bivacchi di fortuna sotto una semplice balma. La semplicità, direi quasi, austera del piccolo ambiente, lontano dal resto del mondo quasi oasi nel deserto, predispone l'animo al raccoglimento; ed il pensiero naturalmente si rivolge alla memoria della Persona che il rifugio ricorda con sentimento di comprensione e di riconoscenza insieme.

Fu così che nell'Ottobre 1936, quando ci recammo ad Oropa alla tomba del nostro indimenticabile amico, sorse l'idea di legare il suo nome ad un'opera che lo ricordasse nell'ambiente alpinistico e parve che nulla meglio di un bivacco fisso avrebbe potuto realizzarla.
L'idea, accolta con entusiasmo, fece rapidamente strada. Saggiate in via preventiva le nostre forze, non appena ci apparve la possibilità della riuscita, si iniziò la raccolta dei fondi tra i soci della Giovane Montagna e i vecchi compagni di scuola dello scomparso, e quando si sarebbe stati costretti a sollecitare offerte fuori di questa intima cerchia la famiglia Carpano intervenne generosamente a rimuovere ogni preoccupazione economica, cosicché dopo appena pochi mesi dal sorgere dell'idea, il bivacco, già ultimato, sorgeva in quel vallone di Piantonetto dove l'attività ,alpinistica del nostro amico aveva avuto principio e dove lui stesso, nel luglio 1935, deve aver desiderato l'esistenza di un rifugio che permettendo di partire da quota più alta riducesse la fatica della giornata ed aumentasse le possibilità alpinistiche dei frequentatori della zona.

Il 19 settembre scorso il bivacco veniva inaugurato, nonostante l'inclemenza del tempo, alla presenza dell'Ing. Mario Carpano e di una numerosa rappresentanza della Giovane Montagna, e benedetto dal nostro Rev Prof. Don Zuretti.
La cronaca dell'indimenticabile giornata, venne già narrata dall'amico Maggiorotti il cronista nel numero di settembre di questo notiziario. Si vuole soltanto qui ricordare che anche questo bivacco è opera dei fratelli Ravelli, noti alpinisti accademici e specialisti in tali lavori, e che il trasporto e la preparazione della piazzola, sono stati affidati alla vecchia guida Pezzetti Tognon Giacomo, entusiasta dell'iniziativa che veniva in qualche modo a valorizzare la bella, aspra e solitaria valle.

Il bivacco « Gino Carpano » è un vero gioiello di architettura alpina e non si saprebbe immaginare un tipo di costruzione più razionale e meglio sfruttata. E' costruito sul tipo dei soliti bivacchi fissi del C. A. A. I. con l'introduzione di quelle piccole modifiche che 10 anni di esperienza hanno suggerito.
Quattro longheroni in legno, sollevati dal terreno (su cui appoggiano soltanto alle estremità) solidamente riuniti tra di loro ed ancorati alla roccia con staffe in ferro costituiscono la base della costruzione sulla quale è fissato il pavimento in legno. Due centine frontali a profilo approssimativamente semiellittico tenute insieme da 7 traverse in legno e da 2 tiranti in ferro registrabili, ne costituiscono l'ossatura. Un perlinaggio foderato di lamiera zincata forma il rivestimento sia della parte centinata che delle due fronti piane. L'impermeabilità è quindi assoluta.
Sul fronte piano rivolto a valle si apre la porta con semplice chiusura a leva. Per dare luce all'ambiente vi sono due finestrini, uno anteriore e l'altro posteriore, ambedue forniti di persiana a pannello pieno e foderate in lamiera. Sulla facciata a valle vi è il foro per il tiraggio delle cucinette eventualmente accese nell'interno e sono pure fissati due anelli nei quali è infilata la pala per la neve, poiché il rifugio è in una zona adatta alle lunghe escursioni primaverili in sci, non solo, ma data l'altitudine, la località è soggetta alle nevicate anche nella stagione estiva; del resto l'utilità della pala ci venne dimostrata il giorno stesso dell'inaugurazione. Sul culmine anteriore del bivacco è fissato il parafulmini.
Le dimensioni sono: larghezza m. 2,20; profondità m. 2; altezza m. 1,75 (anziché m. 1,25 come nei primi bivacchi).
Nell'interno vi è posto per 5 persone; sul pavimento vi sono 2 materassi invece delle stuoie adottate nei primi tipi di bivacchi. Numerose mensole, opportunamente poste, sfruttano al massimo lo spazio interno e rendono quanto più possibile confortevole il rifugio. Altra innovazione: due tavole, normalmente appoggiate alle mensole del fondo, che portate sopra le due traverse più basse servono da panche, utilissime nel caso di pioggia, permettendo di stare seduti nell'interno. E' questa una innovazione resa possibile dall'aumento dell'altezza.
L'arredamento interno è perfino abbondante ed ogni utensile di cucina trova posto appeso ad appositi ganci senza ingombrare il locale.
Il bivacco, come attesta la targa fissata sulla porta, è stato donato al Club Alpino Accademico Italiano, custode delle più alte tradizioni alpinistiche nazionali.

Il giorno dell'inaugurazione vennero fatti da P. Rosso dei rilievi barometrici per stabilire la quota del bivacco. Da questi risulta accertato che il dislivello tra il vecchio rifugio, ora distrutto, ed il bivacco, è di m. 165. Il vecchio rifugio era quotato sulle carte m. 2786; però stando alle misurazioni sopra citate si avrebbero per il vecchio rifugio m. 2700 e per il nuovo bivacco m. 2865.
Furono eseguiti tutti i possibili controlli sia in partenza che al ritorno e si tenne conto delle correzioni dovute alla temperatura, per cui, pur considerando che le misurazioni avvennero in una giornata di tempo incostante, possiamo ritenere la quota di m. 2865 come un dato di buona approssimazione.
CARLO BANAUDI

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